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domenica 4 novembre 2018

"Non bisogna essere gay per difenderne i diritti": Intervista a Mario Artiaco, Autore di "Io, Lauro e le rose"



Mario Artiaco


"Vorrei si sapesse di me che, come il colibrì nella foresta con la goccia d’acqua nel becco mentre il leone lo deride, provo strenuamente soltanto a fare la mia parte"

Così si presenta Mario Artiaco a chi ancora non lo conosce. Disilluso ma determinato più che mai, lo scrittore che ha lasciato il segno con il suo romanzo d'esordio a tematica LGBT "Io, Lauro e le rose" ci anticipa che uscirà presto con una nuova pubblicazione.

In attesa del prossimo libro, ha risposto per noi ad alcune delle domande.

“Nel silenzio si diventa complici” e “non bisogna essere omosessuali per difenderne i diritti”. Sono frasi che hai ripetuto più volte. Cosa significano per te?

La prima citazione è di Sartre e aggiungerei col tempo, reiterando l’indifferenza, si diventi anche carnefici. La seconda è frutto di ciò che troppo spesso mi hanno restituito i lettori in giro per l’Italia. Quasi a ogni presentazione mi è stato chiesto per quale motivo un eterosessuale scriva di omosessualità. La questione è grave e annosa, lo stereotipo e il pregiudizio sono molto più radicati di quanto solo in superficie si possa immaginare. È necessario precisare che, in un paese profondamente incivile come il nostro, dove i diritti sembra siano privilegio di pochi, c’è bisogno ancora dell’utilizzo delle etichette. Sogno un giorno non ci sia più necessità di usare termini per identificarsi, non solo per catalogare l’orientamento sessuale di ogni individuo, ma in assoluto, per qualunque caratteristica ci distingua gli uni dagli altri.
Nella diversità alberga la grande Bellezza, conoscere è sinonimo, molto spesso, di riconoscersi e scoprirsi molto più simili di quanto la coltre di insensibilità e l’ignoranza ci tengano a distanza.
Sono un essere umano che ha raccontato, tra le pagine del suo romanzo, di altri essere umani. Siano essi eterosessuali, omosessuali, uomini e donne di cuore, esseri spregevoli, madri anaffettive o personaggi pregni di pregiudizi.
I diritti sono di tutti, nessuno escluso, e non c’è bisogno di avere un parente o un amico omosessuale per sostenerne l’uguaglianza.
Non c’è altresì bisogno di avere in casa propria un affetto ridotto all’infermità fisica ma nel pieno delle facoltà mentali, come dj Fabo o Piergiorgio Welby, affinché il paese si movimenti a mendicare al nostro Stato, falsamente laico e bigotto, che la Camera raggiunga il quorum per votare, almeno, la legge al diritto sul fine vita. Potrei continuare con altri dolorosi casi di comune quotidiana disuguaglianza ma preferisco chiudere con una riflessione che dovrebbe far sorridere e riflettere:
“Nel WWF non c’è un solo panda che vi sia iscritto.”



Non solo di omosessualità racconta il tuo romanzo, ma anche di pedofilia e riscatto da parte della vittima. Uno dei personaggi principali è don Peppino, un pedofilo che abusava i ragazzini col pretesto di aiutarli economicamente. Riesce ad instaurare con Raffaele, il protagonista, una convivenza e una relazione per diversi anni. Come è possibile?

Don Peppino è un pedofilo. Il rapporto che si instaura tra i due è complesso: Raffaele ha un cuore enorme, perdona tutto e tutti, arriva al punto di asserire “chissà cosa devono aver fatto lui” riferendosi al suo aguzzino. Non ha mai una parola di condanna, non emette mai un giudizio. Ha la forza dei giusti, gli ultimi, gli umili, gli umiliati, i dimenticati. Raffaele è un grande uomo che prova a sostenere sulle sue spalle il peso del mondo fino a scoprirsi impotente e malato.
Il suo atto di catarsi è figlio del dolore e dettato dal tempo che stringe ma in genere, l’ultima cosa che un abusato vuole accada, è che sia resa pubblica la sua storia. Così gli anni trascorrono in quella casa, tra il silenzio e l’indifferenza di un popolo che, ancora oggi, non senza dubbi o con certezze ormai consolidate, inneggia al suo santo benefattore.
Raffaele si immola per la causa, è rimasto l’uomo di famiglia di riferimento, e in nome di ciò sopporta quello che nessun essere umano dovrebbe. Mortificato, offeso, deprivato di ogni forma di diritto, sin da quando è ragazzino, riesce a condurre una vita maledetta fino all’avvenimento che finirà per sconvolgere la sua vita e quella di chi lo circonda, don Peppino incluso.
Di qui il riscatto suo e anche di un paese, Meta di Sorrento, attraverso suoi personaggi chiave che rendono una possibilità a chi non l’aveva mai avuta.



Il romanzo ha avuto una risonanza incredibile. È stato presentato quasi cento volte, in decine di città, tra cui al Salone Internazionale della Fiera del Libro di Torino e alla libreria Notebook di cui Roma, in cui è intervenuta la senatrice Monica Cirinnà.
Considerando che si tratta di un romanzo autopubblicato, pensi sia un incoraggiamento a proseguire su questa strada?


Ero a casa a lavorare sul file del romanzo, che non è mai pronto, definitivo, e arriva una telefonata che credevo fosse il sogno di una vita o che almeno avevo coltivato come tale.. ah, le aspettative. Il mio interlocutore colmo di supponenza mi dice abbiano valutato il mio testo sia meritevole di una pubblicazione con la loro casa editrice. Tremavo, non mi sembrava vero, ma in pochi attimi iniziai a pregustare una delusione che brucia ancora, non per i risultati ottenuti dal mio percorso di auto pubblicazione, i numeri non mentono e nemmeno gli appuntamenti e chi mi ha accompagnato durante il mio tour ancora aperto, bensì perché da ragazzino uno dei criteri di scelta per l’acquisto di un libro era preferirlo proprio di questa famosissima etichetta.
La loro proposta era irragionevole, avrebbero desiderato inserissi in particolare un paio di capitoli che commercialmente avrebbero spinto moltissimo sulle vendite in quanto di grande attualità ma saremmo finiti a raccontare non una pura e mera storia di fantasia ma quasi.
Il mio romanzo nasce da una promessa e, benché esser pubblicati da un editore istituzionale imponga dei compromessi, non mi sono sentito di stravolgere il racconto di questa vita per una eventuale fama o per qualche copia venduta in più. Non ho scritto per costruire un personaggio attorno a me o per denaro, ho scritto per Amore e con la forza del dolore.
Così oggi mi definisco felicemente auto pubblicato. È un percorso lungo, duro, ricco di insidie. Farsi conoscere necessita di tempo, pazienza e prendi mille porte in faccia ma una sconfitta vale cento vittorie e un no, dieci no, cento no, possono farti crescere e allenano alla perseveranza, mai darsi per vinti, mai mollare.
L’editoria istituzionale vive un momento pessimo, basti guardare la maggior parte dei titoli di presunto successo e le tematiche che trattano. È un business, non più cultura o impegno sociale. E questo frangente, gli stessi addetti ai lavori, lo vivono con confusione e navigando a vista.
L’auto pubblicazione è una canale non ancora diffuso in termini percentuali nel nostro paese, dove si legge poco e male, ma comunque significativo e in continua espansione. Va fatta comunque una cernita accurata dei testi, tutti possono con pochi passaggi immettere in rete qualunque contenuto salvo poi fare i conti con la propria reputazione e il valore e la forma di cosa condividono.
Consiglio questa strada, ma qualsiasi altro itinerario di vita, soltanto a chi non ha paura, a chi è umile, a chi ha scelto di investire tutto sull’Amore, “only the brave”.




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